La riforma dell’art.18 dello statuto dei lavoratori

L’art. 18 della L. n. 300 del 1970 si occupa specificatamente dei rimedi contro il licenziamento ritenuto invalido dal giudice (nullo, annullabile o inefficace).

L’art. 18, quindi, non si occupa in alcun modo delle motivazioni del licenziamento (giusta causa e giustificato motivo, soggettivo e oggettivo), che sono disciplinate da altre norme del nostro ordinamento (art. 2119 c.c. e art. 3 L. 604/66) e che non sono state in alcun modo modificate dalla legge Fornero .

La riforma individua differenti regimi sanzionatori a seconda che si tratti di licenziamento “discriminatorio” (o per motivo illecito determinante), “disciplinare” o per “motivi economici”.

La legge Fornero non interviene in relazione ai licenziamenti discriminatori, che come in passato continuano a ricevere una tutela piena ed assoluta, essendo sanzionati con la nullità degli stessi, a cui conseguirà, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati nell’impresa, la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento dei danni di natura retributiva e contributiva patiti dal lavoratore in conseguenza del recesso, nella misura minima di cinque mensilità.

In relazione ai licenziamenti “disciplinari”, ovvero motivati da mancanze più o meno gravi del lavoratore, la riforma ha introdotto le maggiori novità: in tali casi, infatti, il Giudice sarà chiamato a decidere se disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro oltre al risarcimento dei danni (una sorta di tutela reintegratoria “attenuata”), ovvero, in alternativa, riconoscergli solamente un’indennità risarcitoria compresa tra 12 e 24 mensilità di retribuzione (tutela indennitaria “forte”).

Anche in relazione ai licenziamenti “economici” la Riforma ha introdotto diverse novità. Intanto, l’obbligo di esperimento di un preventivo tentativo di conciliazione innanzi alla DTL competente, ai sensi dell’art.  7 L. 604/66, a pena di inefficacia del licenziamento stesso. . Come per i licenziamenti disciplinari, poi, a seconda della gravità della fattispecie, il Giudice sarà chiamato a decidere se disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro oltre al risarcimento dei danni, ovvero, in alternativa, riconoscergli solamente un’indennità risarcitoria compresa tra 12 e 24 mensilità di retribuzione.

Infine, il legislatore della Riforma ha previsto una tutela “indennitaria dimidiata”, compresa fra le 6 e le 12 mensilità, nell’ipotesi di licenziamento inefficace per la presenza di vizi formali/procedurali del recesso da parte del datore di lavoro.

Per maggiore chiarezza e praticità, si veda lo schema che sintetizzata l’attuale disciplina prevista dal novellato art. 18.

Alla luce della predetta disciplina, è possibile esprimere le seguenti considerazioni:

– stante la tutela “piena ed assoluta” riservata ai licenziamenti discriminatori ed ipotesi ad essi equiparate, è prevedibile un incremento del contenzioso giuslavoristico improntato all’accertamento di – vere o presunte – ragioni discriminatorie alla base della cessazione del rapporto di lavoro;

– non appare, allo stato, chiara la linea di demarcazione che separa le diverse fattispecie di licenziamento disciplinare, il cui inquadramento è fondamentale al fine di ottenere una tutela “piena”, ovvero solo una indennità risarcitoria; si leggano, ad esempio, le criticità emerse a seguito delle prime pronunce giurisprudenziali, nell’articolo “Prime applicazioni concrete del nuovo art. 18 St. Lav. sui licenziamenti disciplinari”;

– sempre in tema di licenziamenti disciplinari, non è idoneo a fornire un parametro di giudizio oggettivo il rinvio alle “tipizzazioni” di giusta causa e giustificato motivo eventualmente previste dalla contrattazione collettiva, in quanto da sempre considerate una mera esemplificazione senza carattere di esaustività o cogenza, di cui il Giudice è libero di avvalersi o meno;

– in relazione ai licenziamenti per motivi economici, l’obbligo di previo esperimento del tentativo di conciliazione solleva seri dubbi di opportunità, quanto meno, alla luce degli interventi normativi del 2010 (collegato Lavoro) che avevano eliminato l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione ex art. 410 cpc proprio a fronte della scarsa utilità pratica di tale istituto, che non era riuscito ad ottenere lo sperato intento deflattivo del contenzioso giuslavoristico. Altri dubbi riguardano la possibilità che si abusi di tale strumento: ad. es. un lavoratore “malizioso”, una volta ricevuta la convocazione, e dunque reso edotto della volontà del datore di lavoro di licenziarlo, potrebbe, guarda caso, cadere in malattia al fine di ritardare l’efficacia del recesso anche di parecchi mesi;

–  in relazione al licenziamento “inefficace” di cui al comma 6 dell’art. 18, riservato alle ipotesi di vizi formali/procedurali del recesso, il legislatore utilizza in modo improprio il termine “inefficace”, Con la sanzione della inefficacia, infatti, viene giustamente sanzionato, ai sensi del comma 1 (in ossequio a quanto previsto dall’art. 2 L. 604/66), il licenziamento in forma orale: quindi, inefficacia nel senso di privare di “qualsiasi effetto” il licenziamento illegittimo, con diritto alla reintegra oltre al risarcimento del danno. Invece, non si comprende la ragione per cui, al comma 6, nonostante la richiamata “inefficacia” , il recesso esercitato mantiene comunque degli effetti, tanto che al lavoratore non spetta la reintegra, ma solo l’indennità risarcitoria minima fra 6 e 12 mensilità;

– si evidenzia, poi, una poco comprensibile diversità di disciplina in relazione alle ipotesi di licenziamento orale e licenziamento privo della specificazione dei motivi. Prima della riforma, infatti, ai sensi dell’art. 2 L. 604/66, la mancanza della forma scritta del licenziamento, così come la mancata indicazione dei motivi, laddove richiesti dal lavoratore nei termini di legge, era punita con la identica sanzione della inefficacia, che comportava il diritto alla reintegra oltre al risarcimento dei danni. La Riforma, nel modificare il sopra citato art. 2 della L. 604/66 (nel senso di rendere obbligatoria la contestuale specificazione dei motivi con la comunicazione del licenziamento), riserva una tutela differente alla sopra menzionate ipotesi: infatti, il licenziamento in forma orale è punito con la sanzione piena della reintegra + risarcimento del danno, mentre, la violazione del “requisito della motivazione” è punito con il solo risarcimento fra 6 e 12 mensilità.

 

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