Lotta contro le “dimissioni in bianco”

dimissioni in biancoCon l’espressione “dimissioni in bianco” ci si riferisce ad una triste consuetudine del mercato del lavoro consistente nel far firmare al lavoratore o alla lavoratrice le proprie “false” dimissioni in anticipo – di solito già al momento dell’assunzione – in modo tale che il datore di lavoro possa poi “completare” il foglio già firmato con la data desiderata al momento opportuno, a fronte ad es. di una malattia, un infortunio, un comportamento sgradito, o – caso maggiormente diffuso – una gravidanza del lavoratore. Si tratta, cioè, di una prassi diffusa al fine specifico di aggirare la normativa sui licenziamenti o quella relativa ai congedi di lungo periodo per maternità o malattia.

Come è intervenuta la riforma Fornero?

La riforma Fornero (art. 4 co. 16-23 L. 92/2012), seguendo la stessa ratio della L. 188/2007 (abrogata nel 2008), è intervenuta su tale questione introducendo una disciplina che tuteli in modo più rigoroso i lavoratori che si trovano in una situazione di “maggiore debolezza”, a garanzia della genuinità delle dimissioni rassegnate. In altre parole, attraverso il coinvolgimento di una pluralità di organismi di controllo, il datore di lavoro che intende adottare stratagemmi per aggirare la normativa esistente vede necessariamente restringersi il proprio campo di azione.

Ecco gli interventi:

1)    A tutela della genitorialità, la legge Fornero, modificando l’art. 55 co. 4 del D.lgs 151/2001 (T.U. per la tutela della maternità e paternità), a partire dal 18 luglio 2012, prevede che sia la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, sia le dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gestazione o dal/la dipendente durante i primi tre anni di vita del figlio biologico o di adozione o affidamento (estendendo, quindi, l’obbligo da uno a tre anni di vita del bambino) vengano sospese fino al momento in cui non saranno convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali territorialmente competente.  La convalida costituisce, quindi, una condizione sospensiva per l’efficacia della cessazione del rapporto di lavoro: solo e soltanto dopo che i predetti organismi di controllo avranno verificato la correttezza della procedura, la risoluzione del rapporto di lavoro potrà dirsi efficace.

2)    La riforma Fornero estende, poi, alla generalità dei lavoratori la convalida delle dimissioni volontarie e delle risoluzioni consensuali dei rapporti di lavoro, da effettuare presso la Direzione territoriale del lavoro (DTL), o il centro per l’impiego territorialmente competente ovvero presso le sedi individuate dai CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale. La convalida rappresenta, quindi, la “conditio sine qua non” per rendere efficace la risoluzione del rapporto di lavoro che rimane sospeso fino all’adempimento della convalida.

In alternativa alla predetta convalida, è prevista la possibilità per il lavoratore o lavoratrice di apporre, in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di risoluzione del rapporto, che i datori di lavoro devono inviare al Centro Provinciale per l’Impiego entro 5 giorni dalla cessazione del rapporto, un’apposita dichiarazione di conferma delle dimissioni,.

Il datore di lavoro, quindi, una volta ottenuta la comunicazione di dimissioni o dopo aver definito la risoluzione consensuale del rapporto lavorativo, avrà 30 giorni di tempo dalla data di ricevimento delle dimissioni, per invitare per iscritto il dipendente a richiedere la convalida delle dimissioni o della risoluzione consensuale nelle previste sedi competenti.

Se le parti hanno, invece, optato per la modalità alternativa alla convalida, di cui all’art. 4 co. 18 legge Fornero, il datore di lavoro dovrà invitare il dipendente a confermare le dimissioni sottoscrivendo in calce alla comunicazione di cessazione del rapporto, la specifica dichiarazione di conferma.

L’eventuale inerzia al riguardo da parte del datore di lavoro, decorso il termine di 30 giorni, comporta la definitiva inefficacia delle dimissioni.

Il lavoratore, entro 7 giorni dal predetto invito, deve decidere il da farsi, fra le seguenti opzioni:

a) accettare l’invito a recarsi alla Direzione Territoriale del Lavoro o al Centro per l’impiego competente, oppure sottoscrivere la conferma delle dimissioni, rendendo definitiva la cessazione del rapporto, che si considera risolto dalla data precedentemente definita;

b) rifiutare l’invito del datore di lavoro: ciò comporterà, decorso il termine di 7 gg previsto, l’automatica risoluzione del rapporto, per il verificarsi della condizione sospensiva. In tal caso, le dimissioni saranno convalidate dalla data preventivamente indicata;

c) revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale, ripristinando il rapporto di lavoro dal giorno successivo alla comunicazione della revoca (per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, in mancanza di prestazione lavorativa, il lavoratore non matura alcun diritto retributivo). La revoca delle dimissioni rappresenta un diritto di ripensamento introdotto in favore del lavoratore, al quale il datore di lavoro non può porre obiezioni se esercitato nei termini di legge previsti;

d) nell’ipotesi in cui il lavoratore, entro i 7 gg previsti non esegua alcuna scelta, le dimissioni si riterranno convalidate e il rapporto cesserà alla data indicata.

Sanzioni:

Il datore di lavoro che abusi del “foglio firmato in bianco” dal lavoratore o dalla lavoratrice è punito, salvo che il fatto costituisca reato, con una sanzione amministrativa da € 5.000 ad € 30.000. L’accertamento e l’irrogazione della sanzione è di competenza della DTL.

Link:

Si vedano a pag. 13 e 14 della Circolare n. 18/2012, (http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/21FDF179-5B66-4ED5-B017-1EEE67DECE27/0/20120718_Circ_18.pdf) le indicazioni operative fornite dal Ministero del lavoro, tra l’altro, in tema di dimissioni in bianco, secondo le quali la convalida non è necessaria nel caso in cui la cessazione del rapporto di lavoro rientri nell’ambito di procedure di risoluzione svolte in sede qualificata istituzionale o sindacale (es. art. 410, 411 e 420 cpc), in quanto tali sedi offrono le stesse garanzie di verifica della genuinità del consenso del lavoratore cui è preordinata la riforma.

 

 

 

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