Il contratto a tempo determinato: disciplina e novità

contratto lavoro determinato

Contratto a tempo Determinato

Il contratto di lavoro a tempo determinato è quello in cui risulta indicata la durata e la data di termine del rapporto di lavoro. Nel corso degli anni, vi sono stati una serie di interventi sulla relativa disciplina che hanno riguardato sia il regime sanzionatorio delle violazioni, sia i presupposti di legittimità per la relativa stipulazione.

Nella vigenza della L. 230/1962, era attribuito ai rapporti a tempo determinato un carattere di eccezionalità rispetto ai contratti a tempo indeterminato. Successivamente, con il D.lgs 368/2001, e succ. mod. (L. 133/2008 e L. 183/2010) si è riconosciuta la generale legittimità di tali contratti di lavoro, da redigersi in forma scritta, a fronte, però, della sussistenza di una ragione giustificatrice, di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.

La recente riforma Fornero è intervenuta specificatamente sui presupposti di legittimità per la stipulazione di tali contratti, rendendo decisamente più difficoltoso l’utilizzo di tale tipologia contrattuale, al fine – sperato – di evitarne un utilizzo fraudolento. Si legga l’interessante pronuncia relativa ad un notevole risarcimento riconosciuto dal Giudice del Lavoro di Trapani, con sentenza n. 90/2013 del 15/02/2013, proprio in relazione ad una fattispecie di abuso di utilizzo di contratti a termine, pubblicata su Diritto24.

Inoltre, proprio al fine di disincentivarne l’utilizzo, è stata introdotta per i datori di lavoro una maggiorazione di un’aliquota aggiuntiva dell’1,4 % calcolata sulla retribuzione imponibile, sui contratti a tempo determinato (destinata a finanziare l’Aspi). Del pari, al fine di incentivare la sottoscrizione di contratti a tempo indeterminato, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro decida di modificare il contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, gli ultimi 6 mesi di contributi addizionali versati saranno restituiti. La restituzione avviene anche nel caso in cui il datore di lavoro assuma il lavoratore a tempo indeterminato, entro il termine di 6 mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine.

Vediamo, quindi, qual è l’attuale disciplina dei contratti a termine a seguito delle recenti modifiche apportate dalla Legge Fornero e successivo DL 83/2012 (cd. Decreto Sviluppo), convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134. Il testo del Dlgs 368/2001, aggiornato a tutte le predette modifiche, è qui reperibile.

– Il primo contratto a termine può essere “acausale”: secondo la Legge Fornero, il primo contratto di lavoro a tempo determinato concluso fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore può essere stipulato senza l’indicazione di alcuna ragione giustificatrice, con una durata massima di 12 mesi. Questo significa che uno stesso datore di lavoro, dopo aver assunto un lavoratore con un contratto a tempo determinato acausale (ex art. 1 comma 1bis Dlgs 368/2001), non lo può più riassumere con la stessa tipologia contrattuale, né per fagli svolgere mansioni diverse, né a distanza di tempo. E’ ammessa la successiva stipula di altri contratti a termine, nel rispetto delle previsioni e limitazioni del Dlgs 368/2001, e con l’indicazione della causa.

Il contratto a tempo determinato acausale, così stipulato, NON può essere prorogato o reiterato, a prescindere dalla sua durata, quindi anche se inferiore all’anno.

E’ possibile stipulare un primo contratto a termine acausale, con gli stessi limiti temporali, anche nella prima missione di un lavoratore nell’ambito della somministrazione di lavoro a tempo determinato.

Fuori dalla predetta ipotesi di acausalità, introdotta dalla legge Fornero, è chiaramente necessario indicare sempre, ai sensi dell’art. 1 co. 1 Dlgs 368/2001, le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro, che giustificano la stipulazione di tale contratto. In relazione alla specificazione di tali ragioni, coerentemente con la costante Giurisprudenza, si cita la pronuncia del Tribunale del lavoro di Milano, secondo cui: “Il datore di lavoro ha l’onere di specificare le ragioni che hanno determinato l’assunzione a termine del lavoratore e darne la prova; non bastano, pertanto, a giustificare l’apposizione del termine formulazioni generiche o di stile, essendo necessario il riferimento alla situazione concreta integrante la temporaneità dell’occasione lavorativa oppure l’oggettiva esigenza di utilizzare un’assunzione a termine nonostante il carattere permanente dell’occasione lavoro”. (così, Trib. Milano 26/3/2012, Giud. Cipolla).

Commento: il fatto di aver previsto la possibilità generalizzata di stipulare contratti a tempo determinato, per la durata di un anno, senza indicazione della ragione giustificatrice, certamente favorirà il ricorso a questo strumento da parte dei datori di lavoro, i quali, da un lato, preferiranno tale strumento al fine di evitare le rigidità del contratto a tempo indeterminato, e dall’altro, non incorreranno più nel rischio di impugnazioni dei contratti per difetto o insufficiente indicazione della ragione giustificatrice degli stessi. Quindi, convenienze del datore di lavoro a stipulare un nuovo primo contratto di lavoro a termine con un altro nuovo lavoratore, in tutte le ipotesi in cui la professionalità del lavoratore in scadenza di contratto non è essenziale per la struttura azienda.

– Durata: è prevista una durata massima di 36 mesi del contratto a tempo determinato fra lo stesso datore di lavoro e lavoratore per lo svolgimento di mansioni equivalenti. La legge Fornero ha stabilito che, nel computo della durata massima, si devono considerare anche eventuali periodi di lavoro svolti, fra lo stesso datore di lavoro e lavoratore per lo svolgimento di mansioni equivalenti, anche nell’ambito della somministrazione a tempo determinato.

In altre parole, nel computo dei 36 mesi, si considerano sia tutti i rinnovi e proroghe, sia gli eventuali periodi di missione del lavoratore presso lo stesso datore di lavoro in base ad un contratto di somministrazione a tempo determinato.

La violazione del limite massimo di durata comporta la trasformazione del rapporto in tempo indeterminato a far data dalla scadenza del termine di 36 mesi.

La durata massima può essere superata solo se l’ulteriore contratto a termine è stipulato presso la DPL competente per territorio, con l’assistenza di un rappresentante sindacale. In ogni caso, tale facoltà è prevista per una sola volta e comunque nel rispetto dei limiti temporali fissati dal CCNL di riferimento.

Scadenza: il contratto di lavoro a tempo determinato si risolve automaticamente alla scadenza del termine previsto. Il recesso da tale tipologia contrattuale è disciplinato dall’art. 2119 c.c., secondo cui: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato….. qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”. Nell’ipotesi di recesso illegittimo da parte del datore di lavoro, prima della scadenza del termine, poiché non trova applicazione la disciplina di cui alla L. 604/66 (valevole per i soli rapporti a tempo indet.), al lavoratore spetterà un risarcimento del danno commisurato all’ammontare delle retribuzioni non percepite dal momento del recesso fino alla scadenza del contratto.

– Prosecuzione temporanea del rapporto di lavoro dopo la scadenza: è possibile proseguire il rapporto di lavoro a tempo determinato, alla scadenza del termine, nel rispetto di determinati intervalli temporali, aumentati dalla legge Fornero (art. 5 Dlgs 368/2001): – per i contratti di durata inferiore ai 6 mesi = prosecuzione fino ad ulteriori 30 gg; – per i contratti di durata superiore ai 6 mesi = prosecuzione fino ad ulteriori 50 gg, con l’obbligo del datore di lavoro di comunicare al centro per l’impiego la predetta prosecuzione del rapporto di lavoro prima della sua scadenza.

Nelle predette ipotesi di prosecuzione, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione sulla retribuzione: – dalla scadenza fino al 10 gg successivo = maggiorazione del 20%; – per ogni gg ulteriore = maggiorazione del 40%.

Alla scadenza dei predetti termini massimi di prosecuzione del rapporto di lavoro a tempo determinato, quest’ultimo DEVE necessariamente interrompersi, pena la trasformazione del rapporto in tempo indeterminato.

Commento: Se da un lato sono stati allungati i giorni in cui è possibile proseguire il rapporto di lavoro oltre il termine, dall’altro, l’onere di comunicazione al centro per l’impiego della nuova data di scadenza compromette certamente la flessibilità che prima consentiva di prolungare il rapporto per alcuni giorni per completare ad es. il lavoro oggetto del contratto.

Proroga del termine iniziale di scadenza del contratto: salvo il divieto previsto per il primo contratto a termine acausale, è ammessa la proroga del termine iniziale in presenza di terminate condizioni (art. 4 Dlgs 368/2001): – consenso del lavoratore; – durata iniziale del contratto inferiore a tre anni; – in tali casi, la proroga è ammessa per una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato, con il rispetto del termine di durata massimo di 3 anni. Quindi, la facoltà di prorogare il contratto, in presenza delle predette condizioni, può essere esercitata entro la data di scadenza del contratto. Superata tale data, non sarà più possibile effettuare una proroga, ma occorrerà rinnovare il contratto, nel rispetto degli intervalli di tempo previsti dalla legge.

L’onere della prova relativo alla sussistenza della ragioni oggettive che giustificano la proroga del termine è a carico del datore di lavoro. In merito alla idoneità di tali “ragioni oggettive”, si vedano le seguenti pronunce del Tribunale del lavoro di Milano: “Le circostanze idonee, ai sensi dell’art. 2, L. 18/6/62 n. 230, a legittimare la proroga del termine di un contratto di lavoro a tempo determinato, devono essere contingenti e imprevedibili rispetto al momento di stipulazione del contratto” (così Trib. Milano 26/2/2007, Est. Di Leo); “Le “ragioni oggettive” che, ai sensi dell’art. 4 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, giustificano la proroga di un contratto a tempo determinato devono essere intese nel senso di circostanze sopravvenute rispetto al momento della originaria stipulazione del contratto. Deve pertanto ritenersi nulla una proroga motivata da ragioni già presenti ab initio, con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato (nella specie la durata del rapporto era stata inizialmente determinata in un periodo inferiore all’aspettativa obbligatoria per maternità della lavoratrice sostituita e, alla scadenza, il contratto era stato prorogato motivando con il mero protrarsi della assenza). (Così, Trib. Milano 31/3/2006, Est. Ravazzoni). In altre parole, la proroga deve essere giustificata da una ragione di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che non deve essere quella che giustificava l’apposizione del termine del contratto in scadenza, ma deve essere dotata di forza propria, tale da giustificare il prolungamento del contratto stesso.

Rinnovo dei contratti a tempo determinato: alla scadenza del contratto a tempo determinato, è possibile riassumere il lavoratore con altro contratto a tempo determinato, a condizione che vengano rispettati gli intervalli di tempo previsti dalla legge tra un contratto e l’altro (art. 5 co. 3 Dlgs 368/2001).

Sul punto, è intervenuta la legge Fornero, la quale ha notevolmente ampliato tali intervalli al fine specifico di contrastare il ricorso eccessivo ad una reiterazione di tale tipologia contrattuale. I nuovi intervalli sono: – 90 giorni, se il contratto a termine scaduto è superiore a 6 mesi (ante riforma, il termine era di 20 giorni); – 60 giorni, se il contratto a termine scaduto è inferiore a 6 mesi (ante riforma, il termine era di 10 giorni).

Nell’ipotesi di assunzioni successive effettuate senza alcuna soluzione di continuità (senza neppure un giorno di intervallo), il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

Commento: Tale drastico aumento dell’intervallo temporale, unito alla possibilità di stipulare un primo contratto a termine acausale fino a 12 mesi, farà si che per i datori di lavoro sarà più conveniente stipulare nuovi contratti acausali con nuovi lavoratori anzichè stipulare un nuovo contratto a termine con il lavoratore a cui è scaduto il contratto. Tanto più che tale aumento degli intervalli di tempo pregiudica lo stesso interesse del lavoratore ad attendere 90/60 gg per un eventuale rinnovo anziché cercare immediatamente altra occupazione.

Divieti di assunzione con contratto a tempo determinato: l’art. 3 del dlgs 368/2001 prevede delle ipotesi specifiche in cui risulta vietato stipulare contratti a tempo determinato, ovvero: a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 L. 223/1991, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti, ovvero sia concluso ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi; c) presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; d) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza sul lavoro (dlgs 81/2008).

Impugnazione del contratto per illegittimità del termine: il lavoratore che intende agire in giudizio per fare accertare la nullità del termine apposto al contratto a tempo indeterminato è soggetto a dei termini di decadenza, a seguito delle modifiche introdotte dal c,d, Collegato Lavoro (L. 183/2010), nonché dalla legge Fornero.

L’impugnazione del lavoratore è soggetta al termine di decadenza di 120 gg dalla cessazione del contratto (ante riforma Fornero, il Collegato Lavoro aveva fissato tale termine in 60 gg). Nei successivi 180 giorni, poi, deve essere depositato il ricorso giudiziale o deve essere tentata la conciliazione (si legga al riguardo, l’articolo pubblicato in questo sito “La riforma Fornero in pillole“).

I predetti termini di decadenza e prescrizione previsti dalla legge Fornero si applicano ai contratti a tempo determinato cessati a far data dal 01.01.2013. I precedenti termini di cui al Collegato Lavoro, si applicano ai contratti a tempo determinato cessati dal 31.12.2011 al 31.12.2012. I contratti cessati prima del 31.12.2011 non sono soggetti ad alcun termine di decadenza o prescrizione.

Commento: Il cd Collegato Lavoro, estendendo l’onere di impugnativa dalla cessazione del contratto, anche ai contratti a termine, ha determinato un cambiamento epocale. Si è così passati, infatti, da un regime in cui l’azione volta ad ottenere la nullità del termine apposto al contratto poteva essere proposta senza limiti temporali (pur con le precisazioni e limiti sanciti dalla Giurisprudenza, seppur non univoca), ad una situazione in cui, invece, il lavoratore a termine deve decidere se impugnare o meno il contratto, entro un termine che attualmente è pari a 120 gg, ma in origine era di soli 60 gg (senza considerare che poteva pure non essere al corrente di tale necessità).

Nell’ipotesi di accertamento da parte del Giudice della nullità del termine, ovvero della mancanza di forma scritta, il contratto di lavoro si trasforma in contratto a tempo indeterminato sin dall’origine, con ulteriore condanna del datore di lavoro alla corresponsione di una indennità risarcitoria compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione percepita dal lavoratore (tenendo conto dei criteri di cui all’art. 8 L. 604/66). A tale ultimo riguardo, la legge Fornero ha ribadito la natura omnicomprensiva di tale indennità per il pregiudizio subito dal lavoratore, che comprende anche le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ordina la ricostituzione del rapporto di lavoro.

– dirtto di precedenza: è il diritto del lavoratore che ha prestato la propria attività a tempo deteminato, per più di 6 mesi presso la stessa azienda, ad essere anteposto, per un anno, nel caso in cui il proprio datore di lavoro decida di procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato. Tale diritto è previsto dalla L. 247/2007, e riguarda le assunzioni a tempo indeterminato effettuate entro dodici mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato, relative a posizioni aventi ad oggetto le medesime mansioni già espletate dal lavoratore nel corso del contratto a termine. Il lavoratore interessato ha sei mesi di tempo dalla data di cessazione del rapporto a termine per manifestare la propria volontà in tal senso.

Il diritto di precedenza è previsto anche in favore dei lavoratori assunti a termine per lo svolgimento di attività stagionali. In tal caso, il diritto di precedenza ha efficacia rispetto alle nuove assunzioni a termine che siano disposte dallo stesso datore di lavoro e che abbiano a oggetto le medesime attività stagionali.

Tale disciplina generale può essere derogata dalla contrattazione collettiva, ex L. 133/2008.

 In conclusione: l’obiettivo della riforma Fornero è stato quello di favorire l’instaurazione di contratti di lavoro più stabili, con particolare riferimento ai contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, considerati i contratti “dominanti”. Ciò è stato realizzato, da un lato, cercando di favorire la trasformazione dei contratti a termine scaduti in contratti a tempo indeterminato (restituendo l’aumento contributivo in caso di assunzione alla scadenza del contratto a termine), dall’altro, scoraggiando la continua reiterazione dei contratti a termine con lo stesso lavoratore (allungando gli intervalli di tempo tra una stipulazione e l’altra). A fronte di tali rigidità, è stato introdotto come elemento di flessibilità, la possibilità di stipulare il primo contratto a termine acausale della durata di un anno. Allo stato, in momento di grave recessione come quello che stiamo attraverso, a parere di chi scrive, è molto più probabile che gli imprenditori siano portati a stipulare più contratti a termine acausali, con lavoratori sempre differenti, anzichè trasformare un contratto a termine in scadenza in un contratto a tempo indeterminato. Dunque, dal punto di vista del singolo lavoratore che dopo un anno “spererebbe” di essere assunto, la prospettiva si fa decisamente ardua.

 

 

 

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