Mobbing e risarcimento del danno

Mobbing

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Parlando del mobbing e delle sue caratteristiche essenziali in altro articolo pubblicato in questo sito (vedi “Il “mobbing” sul luogo di lavoro: cos’è e come ci si può tutelare”), abbiamo già affrontato il problema della relativa tutela civilistica. In particolare, si è già evidenziato come la costante giurisprudenza riconduca la fattispecie del mobbing nell’ambito della responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c., norma che prevede il generale obbligo del datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare la integrità psico-fisica, l’incolumità e la personalità morale del lavoratore.

Questo cosa significa? Significa che se il datore di lavoro non adotta tutte le misure necessarie ed idonee ad evitare la lesione della integrità psico-fisica, della incolumità e personalità morale del lavoratore, o peggio ancora, ne è egli stesso l’autore, sarà tenuto a risarcire innanzitutto un danno non patrimoniale, in quanto avente ad oggetto la persona in sé e per sé considerata, la sua salute e la sua personalità, dunque interessi tipicamente “non patrimoniali”.

Ci si chiede, quindi, se in ipotesi di mobbing, si possa riconoscere alla vittima anche un danno patrimoniale.

La risposta è certamente affermativa, anche se si tratta sempre di danni patrimoniali “secondari”, accessori e connessi al danno primario da mobbing che, come anzidetto, è un danno tipicamente non patrimoniale.

Nel riconoscere la sussistenza di danni patrimoniali secondari ed indiretti, la giurisprudenza si è ricollegata al concetto della “fattispecie a formazione progressiva”, ovvero una fattispecie giuridica costituita da una pluralità di fatti giuridici ciascuno dei quali può, a sua volta, produrre effetti prodromici o autonomi rispetto alla fattispecie giuridica complessiva in corso di formazione. Nella fattispecie del  mobbing accade proprio questo: vi sono una serie reiterata di atti leciti/illeciti, tra loro uniti dal medesimo intento persecutorio e vessatorio, ciascuno dei quali può, però, a sua volta, essere potenzialmente produttivo di ulteriori effetti lesivi per il lavoratore, aventi ad oggetto interessi patrimoniali.

Facciamo degli esempi concreti:

  • mutamento di mansioni o mancato riconoscimento di premi che determinano perdite di indennità o di emolumenti retributivi;
  • dequalificazione o mancata promozione che compromettono la possibilità di futura carriera del lavoratore;
  • trasferimenti che determinano maggiori spese per raggiungere il posto di lavoro;
  • licenziamenti illegittimi che comportano mensilità non percepite;
  • condotte vessatorie e persecutorie che comportano ingenti esborsi per il lavoratore per spese mediche, fino a compromettere la sua capacità lavorativa specifica.

Il risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti a condotte mobbizzanti segue i principi generali in tema di risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1223 e ss c.c., e comprende sia il c.d. danno emergente che il lucro cessante: il risarcimento del danno deve, cioè, riparare integralmente il lavoratore mobbizzato (cfr. Cass. civ. 18/07/1989 n. 3352), reintegrandolo nella situazione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato l’evento lesivo, tenendo in considerazione sia le perdite di utilità già verificatesi nel suo patrimonio (danno emergente), sia il guadagno patrimoniale netto che il lavoratore avrebbe potuto conseguire se non fosse stato vittima del mobbing.

A titolo esemplificativo, si fanno rientrare nell’ambito del risarcimento del danno patrimoniale da mobbing, le seguenti ipotesi:

  • risarcimento del danno emergente per mancata corresponsione di mensilità di retribuzione o altro emolumento o premi di produzione, per spese mediche sostenute per curarsi o esborsi sostenuti per ottenere una prestazione inutile;
  • risarcimento del danno da lucro cessante per mancata assunzione o promozione, per “perdita di chance” (cioè la possibilità di conseguire un probabile risultato utile: es. rifiuto ad assegnare al lavoratore nuove attività o mansioni di maggiore professionalità pur avendo il lavoratore tutti i requisiti necessari per svolgerle);
  • risarcimento del danno per “perdita di professionalità”, a seguito di dequalificazione (cfr. Trib. Forli, sez. lavoro, 08/07/2009; 15/03/2001 e App. Bologna 22/02/2010 n. 1115; Trib. Montepulciano, 09/11/2006);
  • risarcimento del danno per “perdita di riduzione di capacità lavorativa” a seguito della lesione della integrità psico-fisica del lavoratore (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 08-10-2007, n. 21014).

Infine, si evidenzia come la vittima del mobbing ha la facoltà di domandare sia il risarcimento del danno per equivalente pecuniario (somma di denaro corrispondente alla perdita subita o al mancato guadagno conseguente all’illecito subito), ovvero il risarcimento in forma specifica (ripristino della situazione materiale preesistente). Di solito, però, si ricorre al risarcimento per equivalente, in quanto, in primo luogo, non sempre è possibile il ripristino della situazione precedente (nell’ipotesi di soppressione del posto di lavoro), ed inoltre il risarcimento in forma specifica opere per il futuro, non essendo in grado di porre rimedio al pregiudizio subito tra il momento dell’illecito e quello del ripristino (es. il ripristino dell’utilizzo di un’auto aziendale non copre di per sé i costi sostenuti dal lavoratore nel periodo in cui è stato costretto ad arrangiarsi diversamente).

Sempre in tema di mobbing, si rimando alla lettura degli articoli presenti in questo sito: “Cos’è lo straining? Differenze con il mobbing“; e “Mobbing e molestie sessuali sul luogo di lavoro: confronto e differenze“.

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