“OBBLIGO DI REPECHAGE”: Nozione e casi pratici

images blogSi tratta dell’onere (cd. “ripescaggio” ) a carico del datore di lavoro di dimostrare l’effettività delle ragioni poste alla base del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo e, in particolare, di dimostrare, oltre alla concreta riferibilità del licenziamento individuale a iniziative collegate a effettive ragioni di carattere produttivo e organizzativo, la impossibilità di una diversa utilizzazione in azienda del lavoratore licenziato. 

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo – che, come abbiamo già visto in altro articolo pubblicato in questo sito (cfr. “Prime applicazioni concrete del nuovo art. 18 St. Lav. sui licenziamenti economici“) consiste in “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa“ e può concretizzarsi nella soppressione del posto di lavoro – autorizza, infatti, il datore di lavoro a riorganizzare l’attività lavorativa tra altri dipendenti dell’impresa, ma risulta legittimo a condizione che sia stato necessario per fronteggiare situazioni sfavorevoli, non contingenti, dell’azienda e non sia stato meramente strumentale a un incremento di profitto (Cfr. Cass. 18/4/2012 n. 6026, in Lav. nella giur. 2012, 721).

Vediamo quali sono i limiti e le caratteristiche di tale obbligo.

Intanto, la possibile ricollocazione del lavoratore in azienda deve essere valutata con riferimento alla intera struttura aziendale esistente all’atto del licenziamento, e non solo con riferimento alla sede ove risultava impiegato il lavoratore licenziato. Questo significa che la verifica da parte del datore di lavoro si deve estendere anche alle eventuali sedi estere (in tal senso, cfr. Cass. civile, Sez. Lav., Sent. 15/07/2010, n. 16579. Per un commento di tale sentenza si legga l’interessante articolo pubblicato su Diritto 24), nonché alle società dello stesso gruppo, qualora, però, si abbia a che fare con un unico centro di imputazione dei rapporti giuridici (cioè se esiste una unica struttura organizzativa e produttiva e vi è un coordinamento tecnico amministrativo e finanziario tra le imprese del gruppo, se le attività esercitate dalle diverse imprese si integrano fra loro ed infine se la prestazione di lavoro viene resa indifferentemente nei confronti delle diverse imprese del gruppo. Cfr. in tal senso, Cass. Civ, Sez. Lav. 02-10-2006, n. 21282).

In secondo luogo, nel valutare la ricollocazione del lavoratore il datore di lavoro deve tenere in considerazione le posizioni lavorative vacanti al momento del licenziamento: è, cioè, pacifico che il datore di lavoro non abbia l’obbligo di modificare l’organizzazione aziendale al fine specifico di creare ex novo un posto in cui collocare il lavoratore licenziato per esubero, né tanto meno quello di formare il lavoratore al fine di consentire allo stesso di risultare idoneo ad ulteriori e diverse mansioni rispetto a quelle di provenienza (cfr. Sent. Cass. Civ., Sez. Lav, n. 5963/2013, secondo cui: “L’obbligo di repechage va riferito limitatamente alle attitudini e alla formazione di cui il lavoratore è dotato al momento del licenziamento, con esclusione dell’obbligo del datore di lavoro a fornire tale lavoratore di una ulteriore o diversa formazione per salvaguardare il posto di lavoro”). Per il testo della sentenza si veda qui

In una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha precisato che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro, nell’offrire al lavoratore una nuova collocazione, ha l’onere di avvertirlo espressamente che tale offerta rappresenta l’unica soluzione alternativa al licenziamento, pena la illegittimità del licenziamento stesso. La Corte, in particolare, precisa come tale comunicazione da parte del datore di lavoro debba essere contingente e tempestiva rispetto alla scelta di sopprimere il posto di lavoro, atteso come le ragioni oggettive del recesso devono sussistere al momento dell’intimazione del recesso stesso e non molti mesi prima: nel caso in esame, il licenziamento è stato considerato illegittimo in quanto l’offerta del datore di lavoro, non solo non aveva precisato che si trattava dell’unica soluzione per evitare il recesso, ma era stata comunicata ben un anno prima rispetto alla soppressione del posto, divenendo così impossibile ricollegare il rifiuto del lavoratore alla diversa mansione ad una legittimità del licenziamento (cfr.  Cass. Civ. Sez Lav 02.01.2013 n. 6). Si legga un interessante commento della sentenza su Diritto 24.

Le posizioni lavorative da tenere in considerazione sono quelle in cui si richiede l’esecuzione di mansioni identiche, simili o comunque comprese nella qualifica del lavoratore. Il parametro di riferimento è il concetto di “mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte” di cui all’art. 2103 c.c.

Ferma l’impossibilità per il datore di lavoro di attribuire unilateralmente il lavoratore a mansioni inferiori, in violazione dell’art. 2103 c.c., si discute, invece, sulla possibilità che le parti sottoscrivano un cd. “patto di dequalificazione”, con cui il lavoratore accetti di svolgere mansioni inferiori pur di salvaguardare il posto di lavoro.

L’onere della prova relativo alla sussistenza del giustificato motivo obiettivo del licenziamento, e dunque l’onere della dimostrazione della impossibilità di adibire il lavoratore nell’ambito della organizzazione aziendale, deve essere assolto dal datore di lavoro mediante la dimostrazione di correlativi fatti positivi, come la circostanza che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori, ovvero che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati.

In capo al lavoratore, senza alcun tipo di inversione di onere probatorio, vi è solamente un onere di deduzione e di allegazione circa la ritenuta sussistente possibilità di suo reimpiego in azienda. Il lavoratore è, cioè, tenuto, nell’impugnare il licenziamento per GMO a fornire elementi utili a individuare l’esistenza di realtà idonee ad una sua possibile diversa collocazione in azienda. Ad. es. in un caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, è stata accertata l’illegittimità del licenziamento di un lavoratore preposto alla gestione della filiale della società in Genova, atteso come il datore di lavoro aveva provveduto ad assumere altro dipendente nella sede di Milano con la stessa qualifica del licenziato, subito dopo il licenziamento e che altra assunzione, sempre per lo svolgimento delle medesime mansioni, era stata disposta nel periodo in cui la società aveva già programmato la chiusura della sede genovese. (Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 19-02-2008, n. 4068. Cfr. anche Trib. Roma 2/9/2010, Trib. Bologna 7/7/2010, Trib. Milano 19/11/2007)

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